Proseguiamo nell'analisi delle erogazioni dei fondi a sostegno del settore, ascoltando l'opinione di coloro che lavorano per produrre e distribuire gli spettacoli che andranno nei teatri.
In questo tempo di forzata inattività per tutto il settore dello spettacolo dal vivo pensiamo che sia il momento giusto per soffermarsi a riflettere su alcuni temi che secondo noi rappresentano problemi storici del settore mai adeguatamente affrontati, e soprattutto mai affrontati con uno spirito di appartenenza comune che dovrebbe avere come obiettivo quello di aiutare tutte le persone che lavorano nella filiera dello spettacolo.
Nel nostro Paese accade sovente che davanti a problemi comuni, infatti, si adottano soluzioni spesso individuali. Lo schema sembra rinnovarsi nel caso dei contributi extra-FUS di cui abbiamo parlato in questo articolo. Per far emergere dunque altre problematiche finora sottovalutate, che potrebbero aiutare a formare una piattaforma di discussione e confronto istituzionale, abbiamo ascoltato stavolta le opinioni di Produttori e Distributori.
Mettendo insieme le opinioni e le rivendicazioni di Stefano Francioni (Stefano Francioni Produzioni), Monica Savaresi (Sava Produzioni e Distribuzione), Lara Carissimi (produttore esecutivo MIC MUSICAL INTERNATIONAL COMPANY) e Terry Chegia (Distributore indipendente), possiamo trarre alcuni spunti di riflessione e analizzare meglio i ruoli fondamentali per la messa in scena di uno spettacolo teatrale.
Produttori e Teatri
Anzitutto, bisogna chiarire la differenza fra teatri (luoghi fisici) e produzioni. E' vero che spesso alcuni Teatri sono anche Produttori, ma si tratta quasi sempre di Teatri pubblici, che quindi già rientrano in determinate forme di sovvenzione. Se ai teatri privati sono stati assegnati contributi fino a 800.000 euro, ai produttori (ovvero coloro che creano lo spettacolo da portare all'interno del teatro), ad oggi sono arrivati al massimo 15.000 euro. Ma la produzione, sostiene Stefano Francioni, "fa parte degli organi vitali del settore, insieme al teatro fisico: uno non può fare a meno dell'altro; senza di noi, lo spettacolo semplicemente non esisterebbe, con evidenti conseguenze su tutta la filiera (attori, scenografi, tecnici, macchinisti)".
Se dunque le due attività sono così interconnesse, come mai il ristoro è distribuito in maniera così diversa?
Lara Carissimi: "Credo sia importante tutelare soprattutto il processo teatrale nella sua interezza senza dimenticare alcuna parte. Se tutelare i lavoratori dello spettacolo ed i teatri è assolutamente d’obbligo è altrettanto palese di come dimenticare un sostegno alle produzioni renda evidentemente inutile i primi due sforzi. Sono le produzioni che investono denaro, spendono per mettere in scena gli spettacoli che sono fondamentali nella filiera altrimenti gli attori non potrebbero lavorare ed i teatri non avrebbero nulla da mettere a cartellone. Il governo in questo momento sta dando dei fondi ai teatri e dei ristori agli artisti: non entro nel merito delle procedure che comunque ritengo spesso articolate e discutibile su molti punti, ma escludere le produzioni è come sistemare una carrozzeria ammaccata senza riempire mai il serbatoio che permette a tutta la vettura di muoversi".
Monica Savaresi: "Non si capisce perché nel cinema venga riconosciuto che c'è un produttore e un distributore che fa sì che il prodotto audiovisivo venga distribuito all'interno di un certo numero di sale e la stessa figura non viene riconosciuta invece a chi fa il medesimo mestiere nel teatro".
Stefano Francioni: "Quello che non è ancora stato capito è che, è giusto aiutare i teatri perché sono loro poi che ci ospitano, ma il problema è che se non vengono sostenuti anche i produttori di conseguenza non si fanno spettacoli e tutta la filiera (attori, scenografi, tecnici, macchinisti, eccetera), ne risente. Si può tenere il teatro aperto, ma se non vengono sostenuti i produttori lo spettacolo non si fa e di conseguenza anche i Teatri non possono aprire, perché non avrebbero spettacoli da mettere in scena. Il produttore fa parte degli organi vitali del settore, insieme al teatro fisico: uno non può fare a meno dell'altro".
Programmare e riprogrammare
C'è poi il problema della programmazione. Una produzione per mettere in scena uno spettacolo ha bisogno di mesi di lavoro e quindi di costi anticipati.
Monica Savaresi dichiara in proposito: "Sarebbe da irresponsabili pensare di chiedere la riapertura dei teatri ma dobbiamo pensare a come andare avanti senza lavoro per i prossimi mesi. Siamo fermi ormai da 9 mesi. Si supplisce a tutto ciò dando dei ristori seri a chi per 9-10 mesi (non per il solo mese di aprile), e chi per altri 4-5 non si sa, non potrà lavorare.
Questo è il gap che ho visto che non è stato colmato nei provvedimenti firmati nei giorni passati. Tutto ciò accade perché chi ci governa, in realtà, non ha così presente i meccanismi che stanno alla base del mondo dello spettacolo.
Un altro problema che tutte le compagnie e i teatri si trovano ad affrontare è che ci troviamo ancora a lavorare su questa stagione con continui spostamenti. Il paradosso è che noi ad oggi non sappiamo ancora cosa succederà il 15 dicembre o il 10 di gennaio oppure il 20 di febbraio. Siamo tutti consci e consapevoli che non si andrà verso una riapertura ma si andrà verso un protrarsi di una chiusura. Vorremmo conoscere invece una data veramente plausibile entro la quale ricominciare a lavorare.
Il nostro è un lavoro programmatico. Molti di noi hanno degli investimenti fermi perché sono stati allestiti degli spettacoli che non sono riusciti ad andare in scena in questa stagione e nemmeno in quella passata, quindi dobbiamo pianificare l'ammortamento degli investimenti che sono stati fatti".
Lara Carissimi: "Nell'ipotesi di una ripartenza a Settembre 2021, una produzione come quella che dirigo deve muoversi con largo anticipo, iniziando il lavori di programmazione e stesura contratti, accordi, fase promozionale, almeno un anno prima della data del debutto. Nulla va lasciato al caso. ‘La Divina opera Musical’ bloccata a febbraio 2020 ha perso circa 30 repliche nei maggiori teatri italiani, (Europauditorium di Bologna, Alfieri di Torino, Politeama genovese, Brancaccio di Roma, solo per citarne alcuni). Il ristoro previsto per una produzione che impegna oltre 50 persone ogni sera è stata di euro 15.000,00 complessivi.
A mio avviso è inaccettabile che non vi sia una distinzione sulla tipologia delle produzioni impegnate, presentando un ristoro comune a tutti. C’è la necessità di valutare la reale importanza per le produzioni in Italia che non percepiscono il FUS e si mantengono autonomamente, valutandone proporzioni, buste paghe, indotti creati, volumi, incassi, spettatori paganti, solvibilità, insomma una serie di dati che molto semplicemente distinguano una produzione dall’altra. La mia condizione è quella di produrre uno spettacolo e andare nei teatri medio-grandi e o vendere lo spettacolo o andare a percentuale, il che significa che parte dell’incasso rimane al teatro e l’altra parte va alla compagnia".
Le famose giornate lavorative
Altro tema caldo è quello delle giornate lavorative di cui avevamo già parlato a proposito dei requisiti per accedere ai fondi extra-FUS: i teatri in realtà producono poche giornate lavorative per i dipendenti, mentre il maggior numero di esse ricade in capo alle produzioni: "Io personalmente nel mese di marzo, aprile e maggio ho prodotto un numero considerevole di giornate lavorative, oltre le 2000 per intenderci ristorate dallo stato con 10.000€. Prima dell’inizio di una tournée teatrale le produzioni si espongono economicamente anche in maniera rilevante, formulando impegni scritti con i teatri, con gli artisti, con società di comunicazione, allestimento, service, e molto altro, direi che non è ammissibile che le mie 2000 giornate lavorative regolarmente prodotte valgano le 100 giornate lavorative di altre realtà", dice Lara Carissimi.
Distribuzione e agenzie
Altro mondo indispensabile per portare in scena uno spettacolo, che pure lamenta di essere stato "dimenticato" dai ragionamenti dei ristori, è quello della distribuzione.
"Mi occupo da 30 anni di distribuzione teatrale", dice Terry Chegia, "però sono considerata a tutti gli effetti un'agenzia commerciale, pur essendo una professionista del settore, e quindi non rientro nelle dinamiche dello spettacolo dal vivo. Siamo l'unione tra una produzione teatrale e la collocazione dello spettacolo nelle stagioni teatrali. Il nostro è un ruolo fondamentale.
Noi lavoriamo con un anno di anticipo perché le stagioni si svolgono l'anno successivo rispetto a quando noi cominciamo a programmare e in questo momento la nostra figura professionale è ferma da febbraio 2020 e non abbiamo ricevuto ristori sufficienti per coprire un fermo che si sta protraendo a ottobre del 2021. Questo non accade nel mondo della musica".
Anche in questo caso dobbiamo rilevare però una tendenza a non prendere iniziative a difesa dell'intera categoria. Così prosegue infatti Terry Chegia: "Siamo tutti abbastanza indipendenti, non siamo rappresentati da qualcuno nello specifico e questa è un po' una debolezza. Noi in realtà lavoriamo al fianco delle produzioni e siamo in tanti, quasi tutti privati, partite Iva, liberi professionisti, ditte individuali. La nostra attività non è legata a un mese. Una partita iva non è tenuta a fatturare tutti i mesi. Capisco che sia difficile come valutazione perché entra una pertinenza economica di altra natura, però veramente un mese non ha senso soprattutto in questa situazione.
Oltretutto noi stiamo continuando a lavorare a fronte di nessuna entrata: ogni giorno continuiamo a spostare questi spettacoli cercando di riprogrammarli. Il problema è che più si va avanti nel tempo e più c'è la possibilità che si fermino le produzioni perché non hanno più la possibilità di partire. Si sta parlando di centinaia di repliche, e di conseguenza di centinaia di persone che lavorano e che guadagnano grazie agli spettacoli. Per noi è una mancanza di un anno da tutti i punti di vista".
Suggerimenti al governo
Chiudiamo con alcune riflessioni ancora di Stefano Francioni: "Qualora dovessero mettere dei contributi per le produzioni bisognerebbe scegliere molto bene la giusta modalità, perché dovrebbero essere ripartiti, secondo me, in base alle attività annuali fatte dalle produzioni l'anno precedente, non dall'attività di pochi mesi. Nell'ambito dello spettacolo dove ci sono dei mesi in cui le produzioni non fanno nulla, altri invece dove lavorano tutti i giorni. Il Ministro dovrebbe incontrare anche i produttori privati per capire meglio le dinamiche, sia a livello di produzione che di distribuzione.
Infine, chiediamo di creare un tax credit per il teatro, come già esiste per il cinema e per la musica: la nostra è un'attività molto rischiosa, e con un sostegno del tax credit per le aziende che investono anche in teatro si potrebbe farci ripartire senza rischi ulteriori".